Premessa
A me questo preamplificatore phono è sempre piaciuto
parecchio; prova ne sia che ne ho posseduti, nel corso del tempo, diversi
esemplari che, in svariati casi, sono stati affiancati dal progenitore PH1.
Introduzione
Ed infatti in questa foto è ritratto proprio un PH3 (che
acquistai poco dopo la sua presentazione sul mercato) e che affiancai al mio
PH1, scribacchiandone una recensione per una rivista cartacea e mettendone in
evidenza le differenze abbastanza marcate rispetto al modello a stato solido.
Descrizione
Come detto, abbiamo già lungamente discusso intorno questo preamplificatore phono, dotato
di un rapporto qualità/prezzo ancor oggi più che favorevole, soprattutto
commisurato con i successivi PH5 e PH6 che, pur ricalcandone a grandissime
linee la tipologia (stadio di ingresso a J-Fet ed amplificazione a triodi) non
ne hanno saputo mantenere il "carisma"...
C'è da dire che i PHx moderni citati hanno dal canto loro
una peculiarità davvero interessante, ovvero la possibilità di modificare
l'impedenza di ingresso tramite telecomando, la qual cosa riesce a far
apprezzare le differenze marcate che si possono riscontrare anche a dei
sordastri come il nostro panel di
ascolto...
L'introduzione degli stadi phono separati Audio Research risale
oramai al 1992 quando la presunta superiorità della sorgente digitale impone ai
costruttori l'eliminazione del circuito phono dedicato alla amplificazione del
segnale analogico; la qual cosa non risulta essere del tutto negativa, visto
che uno stadio phono separato viene curato in modo particolare, con una propria
alimentazione dedicata ed un telaio che lo isola dalle interferenze del
preamplificatore di linea.
E tornando indietro nel tempo, ecco così che nei primi anni
novanta vengono affiancati ai "Line Stages" ibridi LS1 (sommariamente
un SP9 privo dello stadio phono), LS2, LS3 (stato solido) e LS5 (valvolare) i
"fratelli nobili analogici" PH1 e PH2, a stato solido e con un
guadagno di 48 dB; quest'ultimo valore risulta essere un compromesso un poco
troppo stringente, visto che si dimostra pienamente utilizzabile solamente con
MC con uscita relativamente alta (diciamo superiore a 0,6 mV), quando si voglia
mantenere una dinamica di ampio respiro.
Il PH3 arriva nel 1995, affiancando allo stadio di ingresso
a Fet del PH1 un circuito di amplificazione comprendente tre valvole 6922, ottenendo
un guadagno di 54 dB, un valore interessante, ma che ancora non soddisfa
pienamente gli utilizzatori di testine con uscita inferiore a 0,3 mV; come più
volte affermato, il livello sonoro globale potrebbe anche apparire cospicuo, ma
è nostro parere che si perda quella velocità, quel respiro profondo che
permette ad un atleta di affrontare una corsetta in tutta tranquillità e senza
affanno.
Nel 1998 la Casa presenta una delle sue prime "Special
Edition", ovvero il PH3 SE che
pare comprendere oltre 100 modifiche (così stà scritto nel depliant dell'epoca)
nella componentistica; effettivamente qualcosa cambia, visto che anche le
schede del circuito stampato riportino una data diversa, ovvero 1998 in luogo
di 1995.
Ad un'analisi visiva superficiale, i componenti sostituiti sembrano
essere principalmente i condensatori Infini-Cap utilizzati in luogo dei Rel-Cap
(quelli gialli...) e le resistenze Holco inserite nei punti più critici del
circuito; la differenza del listino risultava essere proprio da "Special
Edition", visto che quando il PH3 "liscio" veniva proposto a
circa 4 milioni e quattrocentomila lire, la sua edizione speciale costava quasi
il doppio, ovvero ben oltre i sette milioni di lire...
L'analisi estetica si limita a riferire di un pannello
frontale oramai divenuto un classico per la Casa e disponibile nelle finiture
silver e nera, entrambe molto eleganti; il PH3 rappresenta inoltre uno dei
primi apparecchi Audio Research (assieme ai pre LS2 mkII ed al LS5) ad
utilizzare le maniglie frontali "squadrate", un disegno più moderno
rispetto a quelle tondeggianti degli apparecchi precedenti, forse più consone a
strumenti di misura...
I comandi presenti sul frontale si riducono alle levette di accensione
e di "mute", quest'ultimo segnalato dall'affievolirsi dell'intensità
luminosa del led verde; sul retro due coppie di RCA per l'ingresso e l'uscita,
semplicemente.
Come succedeva con il PH1, la variazione del carico si otteneva
saldando direttamente le resistenze sul circuito presente sulla parte inferiore
della scheda madre: un sistema che garantisce probabilmente il miglior suono, a
scapito di una versatilità non troppo usufruibile...
Analisi sonora
Possediamo questo esemplare di PH3 oramai da diverso tempo;
si tratta di una macchina (nativa 110 Volt, la qual cosa la "isola"
maggiormente dai disturbi presenti in rete) che è stata modificata mediante
l'installazione di una presa IEC (15 A) sul pannello posteriore, il montaggio
delle valvole su appositi zoccoli isolanti Absorb Gel e, soprattutto,
l'installazione di 6 condensatori Mundorf Supreme (varie tipologie) in luogo
degli originali presenti nei punti più delicati del circuito.
Il nostro PH3 più recente è stato inserito entro la nostra
catena di ascolto oramai abituale costituita da una sorgente analogica Scheu
Analog Premier MkIII con svariati bracci (Eminent ET2, Graham 2.2, Ikeda 345,
SME 309 e Scheu Classic Arm MkII), testine Shelter 901, Ikeda TT, Kiseki Blue,
Van den Hul Black Beauty SPX, preamplificatori linea Sonic Frontiers Line 2 e
Spectral DMC20S2, finali Spectral DMA250 e DMA260, McCormack e Pass Labs X250;
i diffusori sono i sempiterni Avalon
Eidolon e la cavetteria di vario genere comprende connessioni NBS, De Antoni,
Revelational Cables e White Gold; la saletta di ascolto è ben trattata con
l’utilizzo dei prodotti di Acustica Applicata ed AStri.
I preamplificatori phono di riferimento erano l'Audio
Research PH1, il PH7, il Sonic Frontiers Phono 1 ed un van den Hul The Grail di
cui scribacchieremo qualcosa a breve.
L'impronta timbrica del PH3 "originale" descrive
un preamplificatore non proprio neutrale ed in linea di massima con un
bilanciamento tonale spostato un poco verso i colori più scuri piuttosto che
una tonalità chiara, almeno paragonandolo con il "solito" PH1 e, soprattutto
il "The Grail"; ecco un carattere che sotto certi aspetti sembra prefigurare l'impostazione
sonora del PH7 (di altra levatura quanto a dettaglio e risoluzione), a tratti
morbido e dolce, ma senza arrivare ad essere paragonabile ad una "colla
gommosa" come, ad esempio, lo stadio phono di un SP6 o di un SP8; ma si
tratta di paragoni con degli "avi" che, in quell'epoca, avevano
queste caratteristiche evidentemente ben apprezzate da chi proveniva da una
"secchezza" e ipotetica trasparenza di certi preamplificatori a stato
solido dell'epoca (vi ricordate l'AGI 511...?)
Il confronto con il PH1 e con un PH3 non modificato riserva
inoltre la sorpresa di una lucidità ben superiore che permette di discernere
una quantità di dettagli sensibilmente superiore, la qual cosa sembra andare di
pari passo con una fluidità di emissione che tradisce una raffinatezza di
ottimo livello, se commisurata al costo dell'usato e della modifica (non del
tutto trascurabile, considerando il listino dei Mundorf...).
Ecco, se volessimo inserire questo PH3 "speciale"
all'interno di una (superficiale) graduatoria qualitativa lo metteremmo poco al
di sotto di quanto offerto dal cugino PH7 o dal Conrad Johnson TEA1 ed allo
stesso livello del Sonic Frontiers Phono 1.
Il guadagno intrinseco, utilizzando le van den Hul Crimson e
Black Beauty (circa 0,6 mV) permette una dinamica di ottimo livello che non fa
desiderare la necessità di uno step-up, forse quasi indispensabile (con un
guadagno però di 16 dB massimi, per evitare la saturazione dello stadio di
ingresso...) con le altre testine citate.
La possibilità di un ascolto critico tra le varie testine
presenti in saletta è un sintomo che la risoluzione del nostro PH3
"speciale" è tale da consentirne l'inserimento anche in impianti di
livello medio-elevato e tali da poter apprezzare i dettagli più nascosti
rilevati all'interno del solco.
Di buon livello la riscostruzione del soundstage, seppure le
macchine più moderne possano offrire qualcosa di più in tal senso; oppure le
macchine che hanno fatto la storia, come il REF Phono (sempre per rimanere
nella Casa di Minneapolis), il Magnum Opus Counterpoint o il Pass Labs XP25.
Conclusioni
Un PH3 a 110 Volt è valutato un poco meno della media di
mercato: diciamo nell'intorno degli 800 euro, a fronte dei 1000 euro necessari
per una macchina "nativa" a 220 Volt; la spesa per la modifica è
consistente (poche centinaia di euro), ma dona nuova vita ad un
preamplificatore ancora in grado di "dire la sua" inserendosi in
catene di ascolto di buon livello.
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