Recensioni hardware


Sonus Faber Electa Amator I° serie
Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa su questi famosi diffusori da stand che oramai possiedo da circa tre anni (credo sia il record di maggior permanenza a casa mia di un diffusore hifi). Come molti audiofili, credo di essere abbastanza bravo a sparare critiche e giudizi (anche su oggetti che conosciamo poco o per niente), nei vari forum, ma quando poi si tratta di scrivere per davvero delle impressioni di ascolto con stile giornalistico, le cose si fanno assai complicate. Non amo peraltro molto le enfatizzazioni, soprattutto se espresse per iscritto, quindi vi eviterò frasi del tipo: “capolavori di ebanisteria”, oppure “diffusori creati dal genio di Franco Serblin” oppure “diffusori dell’età d’oro della Sonus Faber”.
Sono sempre stato affascinato dai diffusori da stand. Ne riconosco ovviamente i limiti (fisici) legati alle dimensioni contenute ma, vuoi perché ho una stanza di ascolto relativamente piccola e con una fastidiosa risonanza alle basse frequenze o vuoi perché la capacità dei diffusori mini di ricreare un palcoscenico virtuale assai credibile e svincolato dai diffusori stessi, mi ha sempre intrigato, ho sempre preferito questi ai diffusori da pavimento.
Le EA1 sono state prodotte e commercializzate agli inizi degli anni ’90; i modelli in circolazione hanno quindi più di 20 anni. Detto questo, chiariamo subito una cosa: sebbene guardando un po’ in rete, le EA1 siano considerati diffusori dal suono un po’ “ruffiano” e creati ad hoc per un ascolto domestico un po’ piacione, questi sono in realtà diffusori monitor a tutti gli effetti, si molto raffinati, si un po’ “patinati” e molto musicali, ma pur sempre monitor, in quanto permettono di percepire minime variazioni all’interno della catena che le pilota. Da anni faccio da “orecchio” per un caro amico autocostruttore, per cui ho spesso testato materiali (in primis condensatori), nonchè variazioni circuitali (sia sul segnale che sull’alimentazione) del mio preamplificatore a valvole, ebbene: le EA1 sono sempre state in grado di evidenziare le differenze tra le varie soluzioni provate. Se vogliamo, avendole possedute, le EA1 sono comunque agli antipodi di un altro grande diffusore (questo si) realmente monitor, le Avalon Mixing Monitor. Ebbene queste ultime hanno un suono altrettanto performante, ma di impostazione molto più asciutta e “asettica”. Dove insomma le EA1 riproducono musica, le MM sono degli ottimi strumenti di misura.
Altra caratteristica fondamentale delle EA1: sono diffusori maestosi, termine questo inteso nel senso che possono creare un fronte sonoro piuttosto ampio e soddisfacente, con un basso relativamente profondo e con una pressione sonora non trascurabile. Ascoltare una incisione della Reference Recording con le EA1, può dare appagamento non solo mentale ma anche fisico, viste le pressioni sonore che si possono comunque raggiungere.
Sfatiamo un altro mito: le EA1, non necessariamente richiedono elevati wattaggi per essere ben pilotate. Sono talmente raffinati e duttili che semplicemente restituiscono in termini di onde acustiche quanto di buono (o di cattivo) gli arriva da un punto di vista di segnale elettrico. Per anni ho pilotato le EA1 con un finale monotriodo con valvole 300B (di derivazione artigianale), con enorme appagamento personale e piacere di ascolto e ovviamente qualche limite.
Il suddetto finale è stato attualmente affiancato da un “vecchio” (solo anagraficamente parlando) ML 23.5, con risultati oserei dire incredibili in termini di ricostruzione dell’immagine sonora e della dinamica. Dove però le EA1 eccellono è nella riproduzione delle voci femminili, sempre terse e delicatissime e degli strumenti ad arco (qui si ringraziamo il progettista per aver deciso di utilizzare il famoso tweeter Dynaudio della serie Esotar).
Difetti? Si forse uno, come dicevo prima, complice forse un limite della mia sala di ascolto, la gamma bassa può talvolta risultare enfatizzata fin quasi alla ridondanza, ciò avviene soprattutto con alcune registrazioni effettuate con un discreto effetto loudness.
Un consiglio, se ne avete la possibilità, acquistatele con i loro stand dedicati in legno con base in pietra, assai belli. Non chiedetemi perché,  non saprei spiegarlo a parole, ma questi stand “suonano” assai meglio di altri stand metallici seppur di buona qualità. La resa del palcoscenico virtuale è ancora più credibile e la riproduzione della musica  risulta oltremodo piacevole. Inoltre gli stessi stand, essendo regolabili in altezza vi permetteranno di trovare il vostro giusto set-up.
Una parola sul posizionamento che secondo me non presenta particolari difficoltà tranne che rispetto alla parete di fondo. Infatti le EA1, essendo un reflex posteriore, vanno posizionate ad almeno 100-120 cm dalla parete di fondo stessa (io le tengo a 120 cm). Lateralmente, per i limiti della mia stanza (larga 380 cm), non posso stringerle oltre i 40 cm per parte. L’inclinazione migliore è secondo me  quella diretta verso il punto di ascolto, ma si possono ottenere buoni risultati in termini di immagine sonora anche inclinandole un po’ di più (qualche cm davanti al punto di ascolto stesso quindi). Con questi semplici accorgimenti sarete in grado di riprodurre una scena sonora stabile e credibile sia in larghezza, sia (cosa più difficile) per quando riguarda i piani sonori in profondità.
Un ultimo consiglio: dato che il tweeter Esotar è costruito con la tecnica a “ferro-fluido”, qualora entriate in possesso di una coppia di EA1 che sono state a lungo ferme senza suonare, fatele lavorare per almeno una settimana, che all’inizio suoneranno chiuse e ovattate.

In conclusione, nonostante in rete si leggano anche critiche feroci in merito alle EA1, fino a  considerarli diffusori con intrinseci errori di progettazione, nella mia esperienza non posso che aggiungermi al coro degli estimatori, per la loro grande capacità di creare musica e perché il loro prezzo nel mercato dell’usato è oramai piuttosto conveniente  (1500-2000 euro).
Dott.Roberto Rocchi


La mia esperienza con i planari
Fin da ragazzino,questo tipo di diffusori mi ha sempre affascinato;vuoi per l'estetica tanto diversa da quelli tradizionali,vuoi per il loro suono,eccezionale a parere di molti.
Sulle pagine dell'allora rivista Stereo,c'era una pubblicità di Martin Logan,che riportava tra le caratteristiche dei suoi diffusori,il fatto di avere un rivestimento conduttivo della membrana elettrostatica,dello spessore di 20 atomi...
No dico:VENTI ATOMI!!!
Rimasero un sogno,questi diffusori e ricordo che da adolescente,quando partecipavo a giochi di ruolo "fantasy" con gli amici,il nome che scelsi per il mio personaggio,fu proprio Martin Logan!
Molti anni dopo,sono riuscito ad ascoltarli  dal mitico Marco Natali a Monsummano;una meta che per noi audiofili toscani (ma non solo) è praticamente obbligatoria.
Il loro suono era diverso dagli altri,aveva una nitidezza,un dettaglio ed una capacità di ricostruire la scena sonora,semplicemente spettacolare!
Rimasero un sogno nel cassetto ancora per un pò,ma un giorno,dopo non pochi sacrifici,finalmente riuscii ad averle!
Ricordo ancora con commozione quando partii da casa con il furgone di mio padre,dirigendomi verso Monsummano per andarle a prendere.
Erano le Martin Logan Ascent i.
Con loro ho convissuto per più di sei anni ed hanno visto numerose amplificazioni e sorgenti.
Questi diffusori erano di dimensioni importanti,alti un metro e sessantadue,larghi trentadue centimetri e profondi cinquantasei.La loro forma,però,era tale da potersi inserire in ambiente senza troppi traumi,avendo la parte superiore destinata alla membrana elettrostatica,la caratteristica di essere semitrasparente e quindi poco invasiva.Le Martin Logan,difatti,sono tra le "casse" ad avere il più alto WAF in assoluto...
Il loro suono era bellissimo,dettagliato,ma con una fatica di ascolto inesistente.Le ascoltavo con le valvole di un Audio research VS110,che riusciva a pilotarle;ma l'unica cosa che non riusciva a fare a dovere,era il controllo del basso...
Passai ai mono VM220,che andavano decisamente meglio, e d'inverno non c'era nemmeno da accendere il riscaldamento,vista la cospicua dose di calore emessa da ben 16 valvole 6550 di cui erano provvisti tali finali.
Però ancora mancava qualcosa...
Provai con un finale di un mio amico,un Krell KSA150B,macchina un pò datata,ma sempre valida.
Ecco:con questo,si sistemava la situazione del basso,anche se sul medio alto non si aveva più la dolcezza delle valvole degli Audio research...
E' mio parere quindi,che questi diffusori amino ingenti quantità di corrente (e di qualità),per funzionare alla grande.
Il loro posizionamento,deve poterle vedere distanziate dalla parete posteriore di almeno un metro,(se è di più è meglio).Sono diffusori elettrostatici e come tali,emettono anche nella parte posteriore,avendo un emissione a "dipolo".La parte di suono che esce da dietro i diffusori,a seconda della distanza dalla parete di fondo,può sommarsi con l'emissione anteriore,"rinforzandolo".
Sono sensibili ai piccoli spostamenti,anche  pochi centimetri possono bastare per cambiare in meglio o in peggio il suono;ma quando si riesce a farli suonare,danno grandi soddisfazioni!
La dinamica,cioè l'intervallo tra il più piccolo e il più grande suono riproducibile,è dirompente e anche la capacità di "volume" è notevole,permettendo di suonare a livelli realistici sia con il rock che con la grande orchestra.
L'unica cosa che alla lunga può portare a desiderare qualcosa di diverso è il leggero scollamento tra il basso, emesso da un'altoparlante tradizionale e la cella elettrostatica,dotata di ben altra velocità.
Nelle ultime versioni prodotte da Martin Logan,si è cercato sempre di migliorare questa caratteristica,andando via via a cercare di velocizzare la gamma bassa con altoparlanti più performanti e con un'amplificazione interna dedicata.
All'epoca le Ascent i costavano 6750 euro,adesso si trovano sui 2000/2500 a seconda delle condizioni e della presenza degli imballi ed accessori.Le consiglio...ma con stanza di almeno 4X5mt. e 100 (ottimi)  watt a stato solido e con grande erogazione di corrente.

Ma adesso passiamo oltre...Magneplanar.

Anche questi diffusori mi hanno sempre affascinato,ma il processo è stato inverso,rispetto al mio amore per Martin Logan.
Già,perchè questi,prima li ho ascoltati,poi sono andato alla loro scoperta!
Fu al negozio Dimensione Suono di Lucca moltissimi anni fa,loro erano le MG10,un modello piccolo della Magneplanar e il disco era Unplugged di Eric Clapton.
Ecco:io una chitarra acustica riprodotta in quel modo divino,non l'avevo mai sentita...
Ma era tutto lo spettro audio riprodotto da questi diffusori,ad essere puro spettacolo!
Anche quà,il sogno è rimasto tale per molto tempo,ma un giorno di pochi anni fa,finalmente,complice anche l'ottimo prezzo a cui il proprietario le vendeva,riuscii ad entrare in possesso di una coppia di meravigliose MG2.7QR.
La loro estetica è piuttosto elegante,e anche se non hanno l'altoparlante semitrasparente come le Martin Logan,il loro inserimento in ambiente non è dei più traumatici,essendo una specie di "porta"(sia come dimensioni,che come peso) rifinita però in tessuto color crema.
Le Magneplanar,sono diffusori isodinamici,cioè "equivalenti" ad un'altoparlante dinamico come funzionamento,ma dalla diversa realizzazione;infatti,anzichè trovare degli altoparlanti a cono,qui troviamo una membrana piatta del tutto simile a quella degli altoparlanti elettrostatici.Il gruppo magnetico,anzichè essere circolare come negli altoparlanti tradizionali,è distribuiito su molte  strisce di magneti "dietro" alla membrana e al posto della bobina,abbiamo una serpentina posizionata "davanti" alla membrana.
Furono inventate da John.Winey più di 40 anni fa,che insoddisfatto delle prestazioni degli altoparlanti elettrostatici di allora,decise di creare qualcosa che ne limitasse gli svantaggi (forte direzionalità,scarso impatto dei bassi) mantenendone i vantaggi (dettaglio e velocità).
Questi diffusori,necessitano delle stesse cure degli elettrostatici,per quanto riguarda il posizionamento,ma hanno un capacità di emettere pressione sonora maggiore,rispetto ai suddetti elettrostatici,o almeno,a quelli del tempo in cui il buon Winey decise di costruire le sue creature.
Nella mia stanza,dopo molte prove,li avevo distanziati di un metro e venti dalla parete di fondo e di una cinquantina di centimetri da quella laterale,non consentendomi la dimensione della mia sala di distanziarli di più.
Il punto di ascolto era situato a circa 2.5 metri con i diffusori paralleli alla parete di fondo.
Il suono era bellissimo,mai avevo ascoltato così bene!
La profondità scenica era da capogiro,la trasparenza,cioè la capacità di discernere con precisione i vari piani sonori,era qualcosa di magico.Le voci venivano riprodotte con una naturalezza disarmante e il basso era velocissimo,pulito,senza code e con un punch niente male.Certo,non si può pretendere un basso alla monitor Jbl,ma la qualità e la pulizia che ha,mettono in secondo piano il minor punch;che comunque risulta adeguato anche per il rock più impegnativo.
Sebbene alcuni dicano che le Magneplanar vadano bene anche con poca potenza,io ritengo che invece, esse amino i buoni Watt con tutto il cuore.Molti esperimenti ho fatto e c'è da dire che suonano anche  con 35 Watt di un vecchio finale Dynaco,ma la dinamica te la sogni...
Con lo Spectral DMA150 invece,era una goduria assoluta!L'unica cosa che può dare qualche problema con questo abbinamento,è che gli Spectral non amano i carichi capacitivi e con certe Magneplanar (con le mie non è mai successo,ma con le 1.7 e le 20.7 sì...) l'amplificatore può andare in  protezione.
Diffusori di tale larghezza,però,necessitano di ambienti in cui si possano distanziare bene dalla parete laterale.
La scena a volte,si presenta un pò a "teatrino"cioè quando ci sono degli strumenti molto lateralizzati,essi tendono ad essere proiettati in avanti,anzichè rimanere dietro al diffusore.Ho avuto modo di ascoltare in casa mia anche le imponenti 20.7,diffusori magnifici,dotati di tweeter a nastro e alti oltre due metri,ma bisognosi di stanze di dimensioni ragguardevoli, per raggiungere le fantastiche prestazioni di cui sono capaci.
E' mio parere, che le Magneplanar più a misura di audiofilo medio,come rapporto qualità/prezzo,siano le 1.7,diffusori di dimensioni ancora umane,con una buona capacità di volume e una minor difficoltà di inserimento in ambiente.Con 3300 euro,che è il costo di tali diffusori,penso che concorrenti in grado di impensierirli ne esistano ben pochi,anche di costo multiplo...

Ed eccoci alle Quad ESL989...

Mi era rimasto stampato in mente,quell'ascolto fatto da Dolfi a Firenze nel lontano 1996(all'epoca in cui facevo il servizio militare in questa città),delle Quad ESL63.
La velocità di questi diffusori e la nitidezza,unita ad una coerenza su tutto lo spettro da capogiro,erano semplicemente sconosciute ai diffusori tradizionali.Rimasi ipnotizzato da tanto realismo,da tanta magia...
Ci sono voluti 17 anni per entrare finalmente in possesso di due Quad,precisamente le ESL989.
Qui'però, apro una parentesi doverosa.
STATE ATTENTISSIMI QUANDO ACQUISTATE DIFFUSORI ELETTROSTATICI USATI!!!Possibilmente ascoltateli dal proprietario e valutate ad orecchio se le membrane fanno scricchiolii,schiocchi o rumori strani,perchè la riparazione di questi altoparlanti è molto onerosa e se possibile,poi,trasportatele voi stessi a casa vostra! 
Purtroppo,i diffusori che acquistai,non per una mancanza di buona fede del proprietario,ma probabilmente per il trasporto criminale che fanno certi corrieri,arrivarono si' integri,ma uno di loro aveva una membrana in corto circuito...
Il proprietario,che subito chiamai,mortificato si offerse di pagare lui stesso la riparazione,che ammontò a ben 860 euro!!!
Considerando la cifra salatissima,concordai di fare a metà con la spesa...
Ma veniamo a loro,le ESL989.
Finalmente ripristinate,presero il posto delle Magneplanar MG2.7QR e di primo acchito,non mi fecero sobbalzare dalla sedia per il loro suono,che era lontano dalle ESL63 che avevo ascoltato anni prima.
Sembrava che ci fosse un pò di nasalità e il basso era un pò lunghetto e melmoso,il suono insomma non era all'altezza della fama che avevano questi diffusori.Sarà il posizionamento?Provo a spostarle di pochi centimetri avanti e le cose cambiano in meglio,adesso sembra che il basso sia più pulito,ma rimane quel cenno di nasalità che non se ne vuole andare...
Proseguo gli ascolti nei giorni successivi,confidando nel rodaggio di cui magari avevano bisogno,essendo state ferme per un pò di tempo a detta del precedente proprietario, e in effetti le cose cambiano ancora in meglio;la nasalità è quasi sparita,ma è solo quando mi metto di tutto punto a posizionarle per bene,che troverò la pace dei sensi e le 989 tireranno fuori,finalmente, tutta la magia di cui sono capaci!
Si',perchè con questi diffusori,bastano pochi centimetri per mandare a quel paese la timbrica i bassi e la scena sonora.
La posizione definitiva,vedeva i diffusori distanziati di ben 1.60mt. dalla parete di fondo e 60cm. da quella laterale (di più non potevo,ahimè...) il punto di ascolto era a 2.70mt. la distanza tra di loro  2mt. circa.
Ecco:adesso quel suono che avevo sentito molti anni prima era tornato di nuovo!
Tutto è ai massimi livelli,le voci sono commoventi per nitidezza e fuoco,i dettagli che si riescono a percepire sono impressionanti,il basso senza nessuna coda,con un'articolazione da paura,e senza nessun tipo di colorazione( dovuta anche alla mancanza del mobile in questo tipo di diffusori) la scena è di una profondità inusitata e solo la larghezza di 67cm. delle 989 ne limita la prestazione sul piano orizzontale,fornendo a volte, ahimè,la scena a teatrino di cui parlavo sopra con le Magneplanar. 
Per il resto,l'unico neo che hanno questi diffusori,oltre al fatto di dover disporre di una sala adeguatamente grande,secondo i miei gusti  è nella massima SPL riproducibile.
La mancanza totale di colorazioni,di distorsione e di fatica di ascolto,portano ad alzare il volume con facilità e presto si arriva all'intervento delle protezioni delle Quad, che tagliano di 20db il segnale,per prevenire di mandare a pacco le membrane eletrostatiche.E' vero che io a volte suono a livello da giostraio,e che molti riterranno il volume ottenibile dalle Quad più che adeguato,ma il mio parere rimane questo:se suonassero 6db più forte,sarebbero i diffusori perfetti!
Per quanto riguarda le amplificazioni,grandissimi risultati li ottenni tra tutti, con lo Spectral 100s,che pilotava senza indugi le 989,dall'efficienza di soli 86db (ma alle misure anche meno...) fornendo prestazioni incredibili per dettaglio, trasparenza e raffinatezza in generale.
La mancanza però come dicevo prima,di una manciata di db come massima SPL ottenibile,ha fatto si che arrivassi a privarmi di loro,incamminandomi verso altri lidi,ma questa è un'altra storia...
Gabriele Bandiera.

PRO-AC D80

ProAc...un nome che ormai non ha bisogno di presentazioni.
Ho sempre nutrito ammirazione per questo marchio che, fin dall'adolescenza, quando acquistavo le prime riviste del settore, veniva preso come un riferimento con cui gli altri dovevano misurarsi.
Certo, i diffusori progettati da Stewart Tyler (il patron della casa) non hanno mai brillato per il design o le finiture particolarmente lussuose, ma a me sono sempre piaciuti anche esteticamente,incarnando il significato stesso, secondo me, di "cassa acustica".
In una ProAc,non troverete altro che ciò che serve ad una cosa sola:suonare bene.
E tutti i diffusori che ho avuto modo di ascoltare e in certi casi anche possedere, non hanno mai tradito le aspettative.
La prima ProAc che ho acquistato, u una Tablette 2000 Signature, un diffusore che delle Tablette originali, aveva conservato ben poco, essendo di litraggio ben maggiore, somigliando più ad un diffusore della serie Response.
Suonavano molto bene, ed avevano anche il basso! Il suono di questi diffusori era molto analitico, ma non si arrivava mai al "fastidio", tranne quando si pompava un pò troppo con il volume, cosa che succede automaticamente, quando un diffusore suona bene.
Ma il mio sogno erano i grandi diffusori da pavimento, solo che non avevo la possibilità di inserirli nella mia stanza d'ascolto, che a quel tempo era camera mia.
Ritornai su ProAc, dopo varie digressioni, acquistando le Response D2, usate, ad un prezzo talmente basso, che dovetti acquistarle lo stesso giorno in cui contattai il venditore, andandole immediatamente a prendere a casa sua...
Ecco:quà si iniziava a ragionare...
Il suono di questi diffusori, secondo me, è sensibilmente diverso dalle pur eccellenti Tablette. Si capisce che in effetti queste ultime avevano una lieve tendenza a strillare, seppur in maniera "educata".
Le D2 no.
Sono diffusori che non strillano mai, o meglio, nei miei setup, che vi assicuro hanno visto tutti i tipi di amplificazione, dalle valvole allo stato solido, non le ho mai sentite strillare.
Hanno bisogno di un pò di potenza per esprimersi al meglio, diciamo almeno una cinquantina di (buoni) Watt, per farle suonare come sanno, come poche, nella loro fascia di prezzo ed anche oltre.
La gamma media ti lascia interdetto per pulizia e naturalezza, la gamma alta è piacevolmente estesa, senza indurimenti, arrivando ad essere "percussiva", ma mai fastidiosa. Sembra sapersi fermare un'attimo prima che ciò avvenga, conferendo alla riproduzione un grande senso di veridicità e restituendo tutto il contenuto armonico delle registrazioni.
La gamma bassa è potente e articolata, veloce e rotonda, donando spessore e corpo ad ogni tipo di programma musicale.
La cosa che affascina di più, però, è la scena.
Essa è sviluppata nelle tre dimensioni e ogni singolo strumento è messo in luce con dovizia di particolari. La loro particolarità è che gli esecutori molto lateralizzati, almeno nel mio ambiente, venivano ricostruiti a lato delle casse, non "dentro" ad esse,d i modo che le D2 sparivano letteralmente dalla vista.
Altri cambiamenti, poi, sono stati fatti, sono passato a Magneplanar, Quad e poi di nuovo a ProAc, con le mitiche Response 3.5.
Già...le 3.5...diffusori che hanno contribuito ad elevare il già consolidato prestigio del marchio inglese.
Sono oggetti di dimensioni importanti le 3.5, alte circa un metro e trenta, larghe ventisette e profonde una trentina di centimetri.
I loro altoparlanti erano un tweeter da ben trenta millimetri e due midwoofer da sedici centimetri, caratterizzati dal cono semitrasparente.
Avevano un'impedenza di 8 ohm e una sensibilità di 88db. Potenza da 30 a 250 watt.
Tali caratteristiche, almeno sulla carta, non le rendevano idonee ad amplificazioni mingherline, ma invece loro, suonavano anche con poca potenza e per gli amanti dei monotriodi, furono un'oggetto quasi irrinunciabile.
Nel mio ambiente, con amplificazione Spectral, suonavano alla grande, esibendo una dinamica mozzafiato e una notevole trasparenza, senza diventare mai fredde.
Le voci, sempre cavallo di battaglia di ProAc, erano riprodotte con maestria, presenti e definite, senza predilezione per l'uno o l'altro sesso. L'estremo acuto era dettagliatissimo senza arrivare ad essere "radiografante".
Il basso, veloce,frenato e con un'ottimo punch. 
Insomma,un grande diffusore in tutti i sensi, finchè un giorno iniziarono a gracchiare...
Già, perchè pur sempre di esemplari con quasi venti anni sulle spalle si trattava...
Che fare? Riconarli?
Io, preferii contattare Sandro Carnovale, di Audiotrader, che me li aveva recapitati a casa e complice una buona offerta, ritirò le 3.5 e finalmente, sono arrivato a loro...le D80.

Descrizione.
Sono diffusori di dimensioni importanti, alti 138cm,larghi 25.8 e profondi 38.
Il condotto reflex è posizionato sotto la base del mobile, e comunica con l'esterno attraverso delle fresature sui lati dello stesso, avente una base in legno, sotto la quale si avvitano delle robuste punte in dotazione.
La distanza quindi dell'accordo reflex verso il pavimento è fissa.
Ogni diffusore monta cinque altoparlanti,due mid a cupola da due pollici, di fabbricazione Visaton, un tweeter a cupola morbida da un pollice Vifa e due woofer da otto pollici dell'inglese Volt.
Ogni altoparlante è customizzato dal costruttore con un trattamento superficiale,ma suppongo che le modifiche non finiscano quì...
La loro impedenza nominale è di 4 Ohm, la risposta in frequenza va da 20Hz a 30Khz e la potenza raccomandata da 10 a 500 Watt. Sensibilità 91db.
I morsetti sono sdoppiati per il biwiring, rodiati anzichè dorati, come tradizione del costruttore.

Note di utilizzo.
I diffusori sono stati distanziati di un paio di metri tra loro, inizialmente scostati un metro e trenta dalla parete di fondo (per poi arrivare a un metro e sessanta)  settantacinque centimetri da quella laterale e lasciati paralleli.
Questa configurazione non mi ha convinto, creando una scena troppo sviluppata in larghezza e con il centro vuoto.
Inclinando i diffusori verso il punto di ascolto di una quindicina di gradi la scena è pressochè perfetta, profonda e non più vuota al centro, mantenendo la giusta dimensione in larghezza.
La distanza del punto di ascolto è di circa due metri e settanta, in questa configurazione.
Sono diffusori che hanno bisogno di aria per dare il meglio di se, anche considerate le dimensioni; ma l'utilizzo di elementi di trattamento ambientale come i Daad e le bass traps Oudimmo, aiutano non poco nella messa a punto e nel raggiungimento di prestazioni ottimali.
Le punte sono pressochè obbligatorie. Ho provato ad ascoltarle inizialmente senza di esse, ed ho resistito dieci secondi...
I diffusori sono stati collocati infine, con il tweeter rivolto verso l'interno, donando al suono una messa a fuoco migliore, secondo me.

Ascolto.
La prima sensazione che ho avuto è stata:MAMMAMIA!UNA RESPONSE D2 AL QUADRATO!
E questo è un gran complimento, perchè della D2 ha la stessa capacità di scomparire, nonostante le dimensioni ben maggiori, e la stessa impostazione sonora; dimostrando che il progettista ha le idee ben chiare, rispetto al suono che vuole ottenere.
C'è un filo conduttore insomma nel suono ProAc; ogni modello, via via crescendo, mantiene quel family sound fatto di grande dinamica, correttezza timbrica, ricostruzione scenica assolutamente credidile, e soprattutto equilibrio tra tutte le componenti del suono.
Ho ascoltato le mie D80 con svariate amplificazioni, dai valvolari agli stato solido, e con moltissime sorgenti e cavi diversi. In tutti i casi,ogni cambiamento fatto, lo si percepisce immediatamente. Un basso più lungo,una voce meno a fuoco, una scena meno ampia e così via.
Te lo dicono con gentilezza, però, non diventano mai inascoltabili, solo peggiorano un pò...
Nel mio attuale impianto, formato da amplificazione Spectral DMC20S2/DMA100S e sorgente Playback MPD3, il suono che ho ottenuto è estremamente appagante, in una parola:EQUILIBRATO.
Per la prima volta, dopo tanti anni, non mi viene da dire: VORREI UN PÒ PIÙ DETTAGLIO, UN PÒ PIÙ DINAMICA, UNA SCENA PIÙ AMPIA, UNA MIGLIORE MESSA A FUOCO...ecc...ecc...
Il basso è fantastico, potente ed esteso, con un controllo oserei dire assoluto.
La gamma media è eccezionale, presente, vivida e soprattutto terribilmente a fuoco, non facendo rimpiangere quella delle Quad esl 989 che avevo prima (e questo è un'altro gran complimento...)
Gli alti rifiniscono con precisione il tutto, contribuendo a dare respiro ad ogni registrazione e restituendo integralmente il contenuto armonico di ogni programma musicale, senza mai tuttavia diventare fastidiosi.
La cosa che impressiona, poi è che nessuna gamma prevale sull'altra, e quà si torna sul famoso equilibrio di cui parlavo prima...
La velocità di esecuzione,complice anche l'amplificazione Spectral, è veramente elevata e le percussioni ad esempio, vengono riprodotte in maniera decisamente emozionante e veritiera.
Con le voci di Monteverdi si raggiunge quasi la commozione, tanta è la passionalità con cui sono riprodotte!
Il sax dell'immenso John Coltrane in Kind of Blue è quanto di più vero si possa immaginare, fulmineo negli attacchi e dal timbro perfetto.
Con la musica rock ovviamente non ci sono problemi, ed ascoltare gli AC/DC ad esempio, è un'esperienza che lascia il segno.
Risultati eccellenti sono stati possibili anche collegando un Classic 30 Audio Research, un finale che a raffinatezza e trasparenza, ha ancora oggi pochi rivali. Nonostante i 30 Watt di targa, riusciva a pilotare tranquillamente le D80, dimostrando anche la facilità di pilotaggio di queste ultime.
Risultati invece un pò deludenti, li ebbi con il fratello più nuovo V70, sempre Audio Research, che aveva un basso poco controllato ,nonostante la potenza doppia rispetto al Classic 30...

Conclusioni.
Questi diffusori mi piacciono molto come si è capito. Hanno tutto e in gran quantità.
Ogni parametro della riproduzione musicale è su altissimi livelli, dinamica, ricostruzione prospettica, dettaglio e cosa non secondaria, sono anche assai facili da pilotare, dando la possibilità di attingere anche ad amplificazioni non particolarmente potenti.
Certamente ci sono diffusori anche migliori in certi parametri...alcuni più dettagliati, altri più dinamici, altri ancora più trasparenti, ma che hanno tutte queste caratteristiche unite insieme e in gran quantità come le D80, secondo me, ce ne sono ben pochi...senza badare neanche troppo al prezzo...
Ah...il prezzo! Costavano circa 13000 euro nuove, adesso si trovano a 5/6000 a seconda delle condizioni e della presenza di imballi e accessori.


Gabriele Bandiera.


UNISON RESEARCH UNICO secondo
Ho avuto modo di ascoltare questo ampli alla recente fiera del 28 e 29 Novembre 2015, svolta al bellissimo Una Hotel di Lido di Camaiore (LU) e gli organizzatori, i  ragazzi del Nuvistor Club, mi hanno dato la possibilità di ascoltarlo con calma nel mio impianto personale.

Descrizione.
È un'amplificatore integrato ibrido, facente uso di uno stadio di preamplificazione a valvole e di una sezione di potenza a stato solido, che può vantare la non indifferente potenza di 100 watt su 8 ohm e 160 su 4 ohm.
È costruito con grande dispiego di materiali, a partire dal telaio, con un pannello frontale di notevole spessore, finemente lavorato e con una finitura satinata molto piacevole al tatto, che dona una sensazione di grande solidità. Il resto del telaio è fatto con lamiere di notevole spessore di finitura nera, con ampie feritoie per lo smaltimento del calore. È presente anche un'ingresso bilanciato per collegare un'eventuale sorgente con tale tipo di connessione.
I morsetti di uscita sono sdoppiati per il biwiring e di ottima qualità,potendo serrare anche cavi di elevata sezione.
Per finire il telecomando, fatto in legno e metallo, molto ben fatto, con l'unico neo di avere i tasti un pò piccoli...

Impressioni di ascolto.
L'amplificatore è stato inserito nella mia catena personale composta da amplificazione Spectral (che è andato a sostituire), diffusori ProAc D80, DAC Playback MPD3 accoppiato a Mac mini e Audirvana plus come player.
Cavi Revelational Cable di segnale tra DAC e pre e di potenza ed alimentazione.
Stanza trattata con Daad, Bass Traps Oudimmo e diffrattori Astri.
Appena acceso l'amplificatore inizia un periodo di riscaldamento di circa un minuto dopodichè è pronto per l'ascolto.
La prima sensazione è di un suono fluido, con un'ottima velocità (sebbene leggemente inferiore ai supersonici Spectral) e una gran riserva di potenza. Le mie ProAc, che sono grandi diffusori da pavimento, non hanno avuto problemi ad essere pilotate dall'integrato italiano. La scena è ampia nelle tre dimensioni, donando alla riproduzione una veridicità notevole. Il basso è rotondo, fin troppo...mi fanno notare altri ospiti presenti in saletta, quindi provo a mettere delle punte sotto all'amplificatore e come per magia, il basso acquista maggiore controllo e pulizia, pur rimanendo decisamente pieno e godibile. Le voci sono suadenti, con quella connotazione valvolare che le due valvole di segnale donano alla riproduzione. È una voce che se anche non si sapesse della presenza di valvole sul percorso del segnale, verrebbe da scommetterci che sono  presenti! Gli alti sono estesi senza eccessi di protagonismo e la riproduzione non diventa mai affaticante, neppure a volume elevato.
Anche la capacità di analisi del dettaglio è ottima, e si riescono a distinguere tutte le informazioni con la giusta chiarezza.
Certo, non ha l'ariosità e la trasparenza dei miei Spectral (per inciso un DMA100S e un DMC20S2) ma il suo costo è 7/8 volte inferiore!
Si nota una seppur lieve minor rifinitura degli strumenti e un'ariosità un poco inferiore, ma non sono certo differenze dal giorno alla notte!
Con tutti i generi l'integrato italiano si è trovato a proprio agio, dal rock più impegnativo, alla grande orchestra ed il jazz, dimostrandosi un amplificatore in grado di dare grandi soddisfazioni!
Il suo costo si aggira sui 2500 euro che, vista la grande qualità costruttiva e di ascolto, sono più che giustificati. Poi, se uno presenta anche la foto dei figli e la moglie a carico...beh...ci si può anche aspettare un po' di sconto!
Gran bel prodotto italiano, che dimostra sempre di più quanto noi italiani non siamo secondi a nessuno!

Gabriele Bandiera


SONUS FABER CHAMALEON T

Premessa
La recensione di un nuovo diffusore Sonus Faber sta diventando una piacevole tradizione "derivata" in occasione della Mostra "Degustazioni Musicali".

Introduzione
Il Nuvistor Club è l'organizzatore dell'evento "Degustazioni Musicali", una manifestazione giunta oramai alla sua settima edizione e per il terzo anno aperto non solo agli autocostruttori, ma anche alle Aziende coinvolte in qualche maniera con la riproduzione musicale, compresi i Distributori di software musicale ed i produttori di trattamento acustico ambientale, seppur alcune Ditte fossero già presenti sin dalle primissime edizioni.
I risultati sempre più convincenti delle manifestazioni hanno convinto anche importanti Produttori italiani (Sonus Faber, Opera, Unison Research) a fornire direttamente alcuni prodotti da esporre alla Manifestazione, prodotti che poi a volte arrivano nelle mani di qualche recensore birbante che si diverte a far loro "le pulci"...
Lo scorso anno è toccato alle Sonus Faber Olympica II, probabilmente tra i diffusori più belli e rifiniti (parimenti alle Serblin Ktema) giunti in saletta per una recensione; questa volta è stato ospitato nelle nostre sale di ascolto (Riccardo Mozzi e Gabriele Bandiera) il nuovo modello Chamaleon T, un prodotto facente parte di una serie che comprende anche un canale centrale (Chamaleon C) ed una coppia di diffusori "da scaffale" (Chamaleon B).
Sono oramai svariati anni (se non lustri) che la fama del Marchio Sonus Faber ha conquistato un poco tutto il mondo dell'audiofilia (e non solo...) grazie alla splendida realizzazione estetica che conquista il potenziale acquirente ancor prima dell'ascolto...



Tale successo ha poi convinto un buon numero di "scopiazzatori" che hanno cercato di imitare il tipo di realizzazione e di finitura, a volte anche con risultati più che apprezzabili.
Come già detto, l'impronta timbrica del suono Sonus Faber non rientra tra i nostri gusti preferiti: diversi modelli da scaffale (e non), infatti, presentano un equilibrio timbrico con una gamma medio-bassa leggermente preminente, probabilmente in modo da compensare una volumetria non troppo cospicua, seppur bisogna ammettere che questa specie di "effetto loudness" possa conquistare più di un appassionato durante i primi ascolti.
Niente a che vedere, tuttavia, con certi suoni ruffiani ed un poco "da giostraio" che abbiamo notato sempre presenti in tutti i prodotti di marchi anche più che blasonati ed adatti alla conquista di qualche sprovveduto "ipnotizzato" dal rivenditore che gli suggerisce "hai sentito che bassi...?!?"

Descrizione
Il progetto della nuova serie Chamaleon si deve ai giovani responsabili del reparto Ricerca e Sviluppo della Casa e probabilmente tiene conto delle esigenze e dei gusti di ascolto della maggior parte dei "nuovi audiofili" che si sono appassionati a questo settore: il suono, infatti sembra essere mutato verso una maggiore universalità e versatilità di ascolto, con un equilibrio timbrico un poco più coerente rispetto ad alcuni prodotti della Casa del recente passato.

Il mobile è realizzato in MDF di buon spessore (quasi 25 kg il peso totale di ogni diffusore) ed è rivestito in pelle; le pareti laterali presentano un incavo destinato ad ospitare i fianchi rifiniti con svariati colori laccati (bianco, nero, grigio, rosso, azzurro ed arancione) a scelta dell'acquirente e tenuti in posizione da degli innesti a molla che sembrano non generare alcuna vibrazione indesiderata anche ad elevato volume di ascolto.
Un'idea davvero brillante e che pemette non solo di "adattare" i diffusori all'estetica ed ai colori della sala di acolto, ma con poca spesa consente l'illusione di aver cambiato i diffusori semplicemente modificandone l'estetica...

I driver utilizzati sono stati realizzati su specifiche Sonus Faber e sono due woofer da 18 cm in polipropilene, un midrange da 15 cm dello stesso materiale ed un tweeter a cupola da un pollice ed un quarto in tela; nella parte inferiore del pannello frontale è ricavato il grosso foro di accordo del reflex.
E' possibile il bi-wiring e l'efficienza si attesta sui 90 dB, consentendo la generazione di un buon livello di impatto acustico anche con potenze relativamente modeste. 

Analisi sonora
Le prove di ascolto si sono svolte nelle due sale a disposizione, una delle quali aggiornata di recente con il completamento del trattamento acustico ottenuto mediante l'inserimento "calibrato" di alcuni DAAD e di uno Studio DAAD di cui non finiremo mai di decantare l'efficacia nella messa a fuoco della scena sonora.
Iniziamo gli ascolti dopo alcune ore necessarie sia per "rifinire" il rodaggio delle Chamaleon, sia per "far ambientare" le Sonus Faber con la nostra amplificazione di riferimento (preamplificatori Spectral DMC20S2 e finali Spectral DMA100S e DMA260); è tuttavia parere degli estensori di queste righe che probabilmente sarebbero state necessarie alcune giornate in più per completare il rodaggio e la messa a punto degli altoparlanti che, a tratti, mostrano ancora una gamma bassa con una parvenza di "legnosità" ed ancora da perfezionare.
Già i primi ascolti sono forieri di piacevoli novità: l'acustica ben trattata delle salette di ascolto permette una riproduzione di una gamma bassa tesa ed asciutta, mai densa di alcun rigonfiamento posticcio, la qual cosa suscita un primo entusiasmo.
La ricostruzione della scena sonora risulta essere realistica e ciò è consentito non solamente dalla già citata acustica ambientale "corretta", ma anche dalle possibilità intrinseche di questi diffusori il cui ingombro in pianta relativamente contenuto contribuisce in modo determinante a questo risultato: la profondità del palcoscenico è inusuale, specialmente quando i diffusori vengono sensibilmente angolati verso il punto di ascolto; in questo modo peraltro viene accentuata la "scolpitura" dei Musicisti presenti nell'intorno del centro del palcoscenico che risultano così ben delineati a "tutto tondo".
L'equilibrio timbrico, come detto, non presenta quella caratteristica di "ruffianeria" presente in alcune realizzazioni del passato, consentendo così una maggior versatilità nell'ascolto di queste Chamaleon T che si prestano quindi ad una fruibilità completa con tutti i generi musicali.
La raffinatezza nella riproduzione degli strumenti più delicati è commisurata con il listino dei Chamaleon T e solamente in certe occasioni si vorrebbe un clavicembalo un poco più fluido ed un flauto un poco più morbido; ma tale critica è solo apparente e perviene dal precedente ascolto con diffusori ben più impegnativi dal punto di vista economico.
Le voci riprodotte dalle Chamaleon T sono ben fluide ed anche abbastanza naturali: la leggera mancanza di messa a fuoco è, lo ripetiamo, probabilmente dovuta al "burn-in" ancora troppo breve: d'altronde i tempi erano particolarmente stringati e siamo stati costretti a restituire queste Sonus Faber una volta che avevamo cominciato a ... "farci l'orecchio"...
La capacità di gestire potenze anche elevate fa da sponda ad una dinamica che cerca di curare tutti i passaggi quantitativamente diversi presenti nella partitura musicale; l'impatto sonoro è quindi considerevole e rende così le Chamaleon T adatte anche ai generi moderni prediletti dagli audiofili più giovani.
In definitiva, una prestazione che ci ha piacevolmente coinvolto nelle brevi giornate a disposizione per un ascolto critico e che ha fatto aumentare la stima (se ce ne fosse stato bisogno) verso un Costruttore italiano che ha dimostrato di saper fornire una risposta adeguata alla evoluzione del mercato hi-fi.



Conclusioni
Il listino di una coppia di Chamaleon T è di 1720 euro e comprende anche due coppie di fianchetti; un set (4 pezzi) di fianchetti colorati costa 350 euro.
Credo che le prestazioni del diffusore siano superiori alla media dei diffusori di questa fascia di mercato; la loro "universalità sonora" ed "ambientale" permetterà loro di farsi apprezzare da un buon numero di audiofili in tutto il mondo.
La futura commerciabilità dell'usato è poi garantita dal prestigio del Nome che riportano.

Impianto uno:
Þ testina Zyx Reneissance
Þ testina van den Hul Black Beauty SPX
Þ testina Stein Music Aventurin 6
Þ braccio SME 309
Þ braccio Scheu Classic MkII
Þ giradischi Scheu Premier MkIII
Þ step-up Fidelity Research FRT5
Þ pre phono van den Hul The Grail
Þ pre phono Audio Research PH3
Þ sorgente digitale info Mac Mini con Audirvana
Þ convertitore digitale PS Audio Perfect Wave DAC
Þ preamplificatore Spectral DMC20
Þ finale Spectral DMA260
Þ diffusori Avalon Eidolon
Þ cavi di alimentazione Revelational Cables e Meleos
Þ cavi digitali MIT, Revelational Cables e Meleos
Þ cavi di segnale White Gold, Crystal Cable, NBS e Meleos
Þ cavi di potenza De Antoni
Þ trattamento acustico Acustica Applicata, AStri e Oudimmo

Impianto due:
Þ sorgente digitale info Mac Mini con Audirvana
Þ convertitore digitale Playback Designs MPD3
Þ preamplificatore Spectral DMC20
Þ finale Spectral DMA100S
Þ diffusori ProAc D80
Þ cavi di alimentazione Revelational Cables e Meleos
Þ cavi digitali Revelational Cables e Meleos
Þ cavi di segnale Revelational Cables e Meleos
Þ cavi di potenza Revelational Cables
Þ trattamento acustico Acustica Applicata, AStri e Oudimmo




 AMPLIFICATORE FINALE SPECTRAL DMA300RS

Premessa
Come sia possibile migliorare quello che sembrava già eccellente rimane per me un mistero insondabile; non è così per il Prof.Keith Johnson...

Introduzione
E per di più in un settore come quello dell'amplificazione ove la tecnologia sembra oramai consolidata da svariati lustri...; una volta di più si conferma il fatto che a volte bisognerebbe tacere, piuttosto che voler apparire dei Soloni e, meglio, dei "capitori" che hanno già visto e sentito tutto; e mi rivolgo, in primis, proprio a me stesso...
Sono trascorsi pochissimi anni quando, in occasione della prova prima del DMA200S e poi dell'amatissimo DMA260, quando affermavo in modo superbamente apodittico che l’evoluzione degli amplificatori finali Spectral era tangibile, ma non quanto quella dei rispettivi preamplificatori che, grazie alle due versioni del DMC30SL e del successivo DMC30SS, anch'esso in due versioni, e finalmente del DMC30SV avevano man mano portato dei sensibili incrementi nella trasparenza e nella resa del dettaglio.
A questo riguardo, dopo aver seguito in modo compulsivo quanto proposto da Rick Frayers in questo settore, mi sono accorto dell'inutilità di una folle corsa verso la "lucidità" più sfrenata e volta quasi all'iperrealismo che tuttavia si allontanava sempre di più da una interpretazione a tratti calorosa di quanto offerto dall'amatissimo DMC20.
Ed è proprio del DMC20 che Vi voglio parlare in questo breve inciso: la dinamica, la "spinta" e l'ariosità che possiede questa macchina (nella versione S2) sono inarrivabili per i pur prestantissimi 30Sx nelle varie versioni... A proposito: suggerisco a chi ha questa macchina di provare ad asportare la scheda phono W202 (o W202A), naturalmente durante l'ascolto della sorgente digitale: in questo modo tutta la corrente erogata dall'alimentatore separato viene indirizzata alle schede di linea; provare per credere...
Spectral DMC20 S2

Ed a proposito di alimentazione, mi sono sempre fatto questa idea: se fossi ricchissimo chiamerei i miei amici del Nuvistor Club e darei loro l'alimentazione di un DMC20 (DMS20) ed un DMC30SV per chiedere loro di escludere l'alimentazione interna (e ridicola...) di quest'ultimo e prelevare gli ampere direttamente dal DMS20; beh, pazientate, sono, in altri termini, solamente i sogni che si facevano da bimbetti quando si immaginava di poter comporre il miglior impianto del mondo; ma questa cosa la faceva anche Stereoplay quando in un numero speciale componeva i migliori impianti relativamente ad una certa fascia di prezzo.
Chiuso il non breve inciso, cerco ora di essere meno assolutista e di riferirVi di questa macchina (DMA300RS) e del suo modo di suonare.
Una volta di più riassumiamo il percorso cronologico dei finali stereofonici più corposi della Casa: nel 1986 il primo finale in assoluto, ovvero il DMA100 che dopo tre anni lascia il posto al DMA200 sostituito a sua volta nel 1992 dal DMA180, proposto in due versioni e che gli amici di Acustica Applicata mi riferiscono di trovare ancora eccellente grazie alla gamma bassa a loro avviso ancora insuperata; è probabile che, parimenti a quanto avvenuto con il DMA90, negli ultimi lotti di produzuine siano stati utilizzati i finali in contenitore plastico dei successivi DMA100S e DMA150, ma, in questo caso, con una sezione di alimentazione ben cospicua e nerboruta che ha quindi coniugato rigore e raffinatessa sonori.
Nel 1996 viene presentata la nuova serie di finali rimasti sostanzialmente invariati sino al DMA260 del 2010; il DMA150 (realizzato anch’esso in due serie successive, oltre ad una “Studio Universal” dedicata all’accoppiamento con preamplificatori non della Casa), risultava un finale già abbastanza raffinato, ma apparentemente mancante di quell'impatto in gamma bassa tipico del precedente DMA180; nel 2005 viene introdotto il DMA160 (anch'esso con la variante Studio Universal, da non ricercare...) che montava dei trasformatori più performanti e che gli consentono una riproduzione della gamma bassa decisamente superiore; nello stesso anno viene presentato il DMA250, finale oramai "universale" e che tenta di avvicinarsi alla trasparenza del DMA100S, ma in grado di pilotare anche diffusori ostici.
Poi arriva il 260 che stravolge un poco il modo di suonare dei finali Spectral: ora abbiamo finalmente la raffinatezza del DMA100S coniugata con una capacità di gestione praticamente di tutti i diffusori in commercio.

Nel 2014 arriva il DMA300RS (Reference Standard) che costituisce davvero il riferimento nel campo delle amplificazioni a stato solido (e non solo...)
DMA300RS (al centro) DMA260 (a sinistra) DMA250 (a destra)

Riferiamo brevemente anche le varie definizioni dei finali attualmente presenti nel catalogo Spectral; sia il DMA200S2 che il DMA260S2 sono definiti "Reference Amplifier"; il DMA300 ed il DMA400 (monofonico) sono invece "Reference Standard"...

Descrizione
Il 300 è il primo finale Spectral ad assumere una conformazione geometrica un poco più moderna rispetto alla serie 150/360 del recente passato: sono infatti presenti dei piccoli volumi laterali che, ad un esame interno, sembrano essere delle semplici "aggiunte" volte a rendere il finale più "cicciotto"...

DMA300RS


Finalmente cambia la scheda madre a causa della installazione nella parte centrale di cinque condensatori elettrolitici (vedi foto); anche la scheda del DMA260 S2 si presenta modificata rispetto a quanto visto fino ad adesso, ma risulta ancora diversa rispetto a quella del 300, visto che i cinque condensatori ora sono posti in un'altra configurazione...; curiosamente sul sito Spectral (non proprio ben fatto ed aggiornato...) nella sezione relativa al finale DMA400 compare una foto dell'elettronica del DMA260 S2 e non quella del 400 (vedi foto)...
DMA260S2

Esteticamente quindi  il 300 si diversifica dal 260 solamente per la presenza dei due volumi laterali aggiuntivi; rimangono le feritoie sul pannello superiore (non presenti nelle primissime serie del DMA260...) e destinate allo smaltimento di un po’ di calore; i morsetti di uscita sono quelli delle ultime serie dei finali della Casa e sono adatti anche ad essere serrati con le sole mani.

DMA300RS

La scheda della sezione di ingresso, di colore verde, è abbastanza simile a quella del 260, seppur siano presenti alcune modifiche; come già riferito in passato, sembra essere questa la differenza sostanziale che potrebbe rappresentare la causa di questo sensibile incremento prestazionale; anche su questa piastra viene impiegata buona parte della tecnologia SHHA già utilizzata nei preamplificatori 30SL e 30SS.

Vengono sostituiti gli spezzoni di cavi di potenza che collegano le schede ai morsetti di uscita: in sostituzione dei miseri "doppini" utilizzati in precedenza ora viene impiegato un cavo Mogami.
DMA300RS (sopra) DMA260 (al centro) DMA250 (in basso)

Una nota curiosa: la disposizione dei morsetti di uscita è comune per il 250 ed il 300 (canale destro in alto), mentre è "invertita" nel 260... (vedi foto).


Analisi sonora
Ho avuto davvero una grande fortuna: nell'estate del 2014 il finale "titolare" nel mio impianto personale era un DMA250; dopo qualche "minaccia" l'Importatore Spectral (Sergio Pozzi di Audiograffiti) mi ha inviato un 300RS; per completare il quadro allora mi sono fatto prestare da un caro amico un DMA260, in modo da estendere il confronto a tre generazioni di amplificatori; un evento che credo che sia capitato raramente ad un audiofilo "impallinato" come chi Vi sta scrivendo...
Sono stati convocati (a turno) tutti gli amici audiofili più giovani che, in linea di massima, hanno concordato con quanto leggerete tra poco, fornendo con parole sempre diverse la descrizione di un modo di suonare "naturale" che caratterizza questa splendida macchina.
Mi è già capitato più di una volta di rammentare la prima impressione di ascolto provata oramai diversi anni fa dopo aver collegato il mio primo DMC30SL al resto dell'impianto: quando si collega un componente più "naturale" del solito si riesce  percepire immediatamente un suono meno affaticante ed al tempo stesso più denso di dettagli rispetto a quanto ascoltato da componente appena scollegato...
Ecco, se volessimo provare a stilare una superficialissima classifica di merito qualitativo attribuendo al DMA250 un valore "100 punti", ebbene il DMA200S avrebbe 105 punti, il precedente DMA160 si limiterebbe a 95, il DMA260 ne avrebbe 115 ed il DMA300 ne conquisterebbe ben 135: ovviamente si tratta di una sciocca brutalizzazione che che dovrebbe indicare (secondo il parere del nostro "panel" di ascolto) le "distanze" prestazionali relative tra i vari finali Spectral.
Mentre il DMA260 rappresenta un finale completo ed universale con una timbrica ed una trasparenza pari a quella del "piccolo" DMA100S (tutto insuperato come rapporto qualità / prezzo...) ecco, il 300RS ha un qualcosa in più che lo rende ancora più naturale e ... completo!

L'esemplare arrivato in saletta oramai un annetto fa era il secondo che sbarcava in Italia (matricola 335); come detto, ha affiancato (ed escluso...) il mio beneamato DMA250 e poi si è confrontato con un DMA260; tre macchine del genere in saletta hanno calamitato l'attenzione di tanti amici che man mano sono venuti ad ascoltare.
DMA300RS (al centro) DMA260 (a sinistra) DMA250 (a destra)

Queste macchine erano pilotate da un DMC20 (serie 2) e da un DMC15, ovviamente Spectral; le due sorgenti digitali, costituite da un integrato Playback Design MPS3 e da un Mac Mini, erano affiancate dalla sorgente analogica costituita da uno Scheu Premier MKIII con braccio Scheu Analog Classic MkII da 12" e fonorivelatore van den Hul Crimson; i diffusori erano gli amatissimi Avalon Eidolon; 
I cavi utilizzati sono oramai quelli che si sono "stabilizzati" nel corso del tempo in saletta e sono il frutto di numerose prove volte a trovare la migliore sinergia tra i componenti; sintetizzando i cavi erano degli NBS di segnale, dei Revelational digitali, dei De Antoni di potenza e dei Meleos e Revelational di alimentazione.
Gli ascolti a confronto con gli altri finali Spectral a disposizione ha permesso di confermare che l'impronta timbrica di queste macchine è alquanto similare; ma in due parole, di cosa è fatta questa benedetta impronta?!' Bene, è fatta di una eccellente naturalezza e fluidità di emissione che si associa ad una cura del dettaglio che trova pochi paragoni nel campo delle amplificazioni a stato solido.
Il DMA300 spinge queste caratteristiche verso vette che sembravano essere già raggiunte con il DMA260 e che invece vengono superate in modo discernibile anche da un audiofilo sordo: la "liquidità" di emissione del 300 può ricordare a tratti quella delle migliori macchine da musica a valvole, tra le quali ci piace ricordare gli Audio Research Classic 30 e 120; il nostro riferimento a stato solido in questo (DAM100S), eguagliato dal 260, viene superato ed il vecchio 250 sembra suonare "ruvido" al confronto...
Sembra che il 300 con le sue prestazioni ridefinisca il concetto di amplificatore trasparente; e, badate bene, tutte queste lodi scaturiscono dal confronto con delle macchine che definire "eccellenti" è poco...
Un'altra caratteristiche che emerge dall'ascolto critico di questo amplificatore è la sua assoluta silenziosità: avete presente quei televisori moderni che quando sono spenti sono di colore "nero assoluto"...? Bene, il 300 nelle pause è davvero "morto", la qual cosa permette di discernere i particolari che apparivano trascurabili (o forse "trascurati"...); la qual cosa rimane tuttavia apprezzabile prevalentemente durante gli ascolti notturni quando (in saletta) il rumore di fondo si assesta al di sotto di 25 dB(A) che, Vi assicuro, è davvero pochino...
L'ho già detto riguardo ad altre "macchine" e sono costretto a ripetermi: quando a suonare è il DMA300 si sente che c'è qualcosa di magico in saletta anche al di fuori della stessa...
Ma cos'altro potrei aggiungere a queste amenità già lette e rilette nelle recensioni che ci hanno affollato orecchi e materia grigia nel corso di questi anni audiofili...?!? Beh, dimenticavo: i violini sono setosi e gli ottoni squillanti come raramente ci era capitato di ascoltare...

sala d'ascolto

Conclusioni
Una macchina universale e da acquistare ad occhi chiusi...? Il miglior finale stereofonico del mondo...?
No, semplicemente per il motivo che una catena di riproduzione è quanto mai variegata ed il risultato finale dipende anche (anzi, direi per buona parte...) dai gusti di ascolto del proprietario dell'impianto: un caro amico mi ha riferito di un sistema di riproduzione particolarmente impegnativo (Diffusori Avalon Isis, Pre Spectral DMC30SV, finali Pass X600.5) nel quale è stato inserito il DMA300RS: ebbene, con la musica ascoltata dal proprietario dell'impianto (pop, rock, jazz) le prestazioni dei finali "titolari" (particolarmente potenti) erano tali da far preferire il loro suono a quello del finale Spectral, sicuramente più raffinato ed elegante, ma che inevitabilmente si deve sottomettere alla superiore erogazione consentita dai Pass; però, chissà cosa potrebbe succedere con i DMA400RS...
Ci sono alcuni componenti che sono in grado di fornirti emozioni nuove: recentemente, ad esempio, il sistema digitale MSB V; ecco, anche questo DMA300RS lo ha fatto, e ritornare all'ascolto del "semplice" DMA250 (beh, si fa per dire...) ha comportato una specie di trauma superato dopo una pausa di ascolto di qualche settimana... 
Il listino attuale del 300RS è straordinariamente elevato (27900 euro...) e curiosamente ben superiore a quello dell'apparentemente similare DMA400 (24650 euro); se volete un amplificatore difficilmente superabile quanto a naturalità di emissione, completezza e rigore timbrico, beh, dovete cominciare a frugarVi le tasche...
DMA300RS
Impianto di ascolto:
Þ testina van den Hul Crimson
Þ testina Audio Technica AT33PTG
Þ braccio Scheu Classic MkII
Þ braccio Graham 2.2
Þ giradischi Scheu Premier MkIII
Þ giradischi Scheu Premier MkII
Þ step-up Angstrom Research MC2000
Þ sorgente digitale info Mac Mini con Audirvana
Þ cd player e DAC Playback Design MPS3
Þ preamplificatore Spectral DMC20
Þ preamplificatore linea Spectral DMC15
Þ preamplificatore phono Sonic Frontiers Phono 1
Þ preamplificatore phono Audio Research PH3
Þ finale Spectral DMA250
Þ diffusori Avalon Eidolon
Þ cavi di alimentazione Revelational Cables e Meleos
Þ cavi digitali Revelational Cables e Meleos
Þ cavi di segnale White Gold, NBS e Meleos
Þ cavi di potenza De Antoni


l'autore dell'articolo (a destra) con il Prof.Johnson

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